Maltrattamenti in famiglia: i concetti di «famiglia» e di «convivenza» vanno intesi nell’accezione più ristretta

Cass. pen., sez. VI, ud. 29 maggio 2025 – dep. 28 agosto 2025, n. 29928

In tema di rapporti fra il delitto di maltrattamenti in famiglia e quello di atti persecutori, il divieto di interpretazione analogica delle norme incriminatrici impone di intendere i concetti di “famiglia” e di “convivenza” di cui all’art. 572 c.p. nell’accezione più ristretta, quale comunità connotata da una radicata e stabile relazione affettiva interpersonale e da una duratura comunanza di affetti implicante reciproche aspettative di mutua solidarietà ed assistenza, fondata sul rapporto di coniugio o di parentela o, comunque, su una stabile condivisione dell’abitazione, ancorché non necessariamente continuativa: sicché è configurabile l’ipotesi aggravata di atti persecutori di cui all’art. 612-bis, comma 2, c.p., e non il reato di maltrattamenti in famiglia, quando le reiterate condotte moleste e vessatorie siano perpetrate dall’imputato dopo la cessazione della convivenza more uxorio con la persona offesa.
Alla luce di una esegesi rispettosa del principio costituzionale di legalità, ai fini della applicazione della norma incriminatrice dell’art. 572 c.p., di “convivenza” si può parlare solamente laddove risulti acclarata l’esistenza di una relazione affettiva qualificata dalla continuità e connotata da elementi oggettivi di stabilità: lungi dall’essere confuso con la mera coabitazione, il concetto di convivenza deve essere espressione di una stabile relazione personale caratterizzata da una reale condivisione e comunanza materiale e spirituale di vita.

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